Attentati di Parigi: il ritorno.
Non sappiamo più se ridere o piangere: dopo l ’11 Settembre 2001, non
non c’è più stato nemmeno un attacco terroristico senza che i colpevoli
- che di solito dovrebbero nascondersi - non si facciano riconoscere
perché hanno lasciato in giro un documento. Per il sociologo Jean-Claude
Paye, l’ apparente e ripetuta stupidità dei terroristi deve essere
interpretata come un artificio retorico del potere per confondere la
gente. Questo perché diventa assurdo contestare tutta la commedia
ufficiale, non si può e non si deve.
Nell’ambito delle indagini sui massacri di Parigi, è
stato trovato un passaporto siriano vicino al uno dei kamikaze, morto
allo Stade de France, dopo che il Presidente Hollande aveva già detto
che la responsabilità degli attentati era da attribuire allo "Stato
islamico". In questo modo si è trovata la giustificazione per la sua
dichiarazione.
Per l’esecutivo francese - che ha dichiarato di voler intervenire in
Siria contro il EIS, in pratica contro la Repubblica Araba Siriana e
contro il suo Presidente Bashar Assad, costituzionalmente eletto ma che
"deve andarsene" - si è trattato di un elemento importante per motivare
la sua operazione militare. Sembra prerogativa del governo francese
usare un linguaggio ambiguo, da una parte appoggiare una organizzazione
definita nemica e dall’altra chiamare terroristi quelli che prima aveva
chiamato "combattenti per la libertà". Crearsi un nemico è diventato un
asse della strategia occidentale, come ci conferma il fatto che nella
struttura imperialista, non c’è una separazione tra minaccia
dall’interno e minaccia dall’esterno, tra diritto e violenza pura, tra
cittadino e nemico.
In Belgio, il predicatore musulmano Jean-Louis Denis è inquisito "per
incitamento dei giovani alla jihad armata in Siria," perché si crede
che abbia avuto contatti con Sharia4Belgium, un gruppo definito
"terrorista", cosa che l’imputato nega. Il suo avvocato ha messo in
evidenza quanto sia confuso il pensiero della procura su questo caso,
dichiarando alla Corte Penale di Bruxelles: "Abbiamo mandato dei
bambini tra le braccia dello stato islamico in Siria e sono i vostri
servizi che lo hanno fatto" ed ha sostenuto le sue accuse sottolineando il ruolo svolto in questo affare da un agente infiltrato dalla polizia federale.
Il ritorno dei significati
Per quanto riguarda i massacri di Parigi, sembrerebbe che la
principala preoccupazione dei terroristi fosse farsi riconoscere appena
possibile e, purtroppo, questo paradosso nemmeno ci sorprende. Il fatto
di trovare un documento di identità, miracolosamente recuperato, con
scritto sopra il nome di chi ha appena fatto un attentato, è diventato
un classico. Si tratta di un evento convulsivo che ripete ogni volta che il colpevole è uno del "movimento jihadista". Nella versione ufficiale dell’11 settembre, l’FBI disse di aver
trovato il passaporto intatto di uno dei kamikaze vicino a una delle due
torri completamente polverizzate dalle esplosioni avvenute ad una
temperatura capace fondere le strutture di acciaio di un grattacielo, ma
che lasciarono "miracolosamente" integro un pezzo di carta. Nemmeno lo
schianto del quarto aereo su un campo di Shanksville, ha impedito alla
polizia federale di ritrovare il passaporto di uno dei sospetti
terroristi. Questo documento appena bruciato da una parte ha permesso
comunque di identificare l’attentatore dal nome e dalla foto.
Circostanza questa ancora più inquietante dello schianto dell’aereo che
nell’impatto ha aperto un cratere riducendo a pezzettini fusoliera e
motore: si è trovato solo - ma bruciacchiato – il passaporto.
L'incredibile misura della verità
Nel caso di Charlie Hebdo, gli investigatori hanno trovato la carta
d’identità dei fratelli Kouachi in una macchina abbandonata a nord-est
di Parigi. Da questo documento, la polizia si rese conto che si trattava
di individui già conosciuti dai servizi antiterrorismo per essere
"pionieri del jihadismo francese". Solo dopo aver visto i documenti è
cominciato il "pedinamento". Come è possibile che degli assassini, che
hanno compiuto un attentato a sangue freddo che dimostra un elevato
livello professionale, possano aver commesso un errore di questo genere?
Disfarsi dei documenti è l’ ABC di qualsiasi rubagalline! Dopo l’11 settembre, l’incredibile è diventato parte della nostra
vita quotidiana. E’ diventato la base della verità. La ragione è
negata-vietata. Non si tratta di credere a quanto viene detto, ma di
dare la propria adesione a ciò che dice la voce che parla, non importa
quale sia il senso di ciò che sta dicendo. Più questo fatto diventa
evidente, più la fede in quanto viene affermato deve diventare
incrollabile. L’incredibile è diventato la misura e la garanzia della
verità. Come è stato gestito l’affaire di Merah o quello di Nemouche lo
dimostra bene. Merah, circondato da decine di poliziotti, sarebbe
uscito, svincolando alla sorveglianza delle forze speciali, a uscire da
casa sua e poi rientrarvi per essere ucciso da un "cecchino" che gli
avrebbe sparato per "legittima-difesa" con delle "armi non letali".
Sarebbe uscito di casa per raggiungere una cabina telefonica pubblica,
in modo da "dissimulare la sua identità", per fare la sua dichiarazione
di colpevolezza al telefono, parlando con un giornalista di France 24.Per quanto riguarda Nemmouche, l’autore della strage al Jewish Museum
di Bruxelles, è stato riferito che non si sarebbe sbarazzato delle
armi, perché aveva pensato di rivenderle. E proprio per vendere queste
armi avrebbe scelto di viaggiare con i mezzi di trasporto internazionale
più controllati: un autobus che collega Amsterdam, Bruxelles e
Marsiglia. Un "controllo doganale inaspettato" avrebbe permesso di fermarlo ed arrestarlo.
L'improbabilità e l'unità nazionale
Comunque sia, quello che ci fanno vedere ha un grado di
irrealizzabilità che ci lascia in uno stato di incredulità. Ci
pietrifica come lo sguardo di una Gorgone, ci fa sentire che c’è
qualcosa non va nel discorso. Ci fa vedere che c’è un errore anche se
noi non dobbiamo tenerne conto, non perché ci stiamo sbagliando ma
perché vediamo le cose solo "a pezzetti". Alla fine, di tutto quello che succede realmente intorno agli
attentati, lo spettatore vede solo quello che viene presentato sul
palcoscenico. C’è qualcosa che sfugge in tutta questa rappresentazione
ed ha un effetto che ci lascia sbalorditi, ma questo non è dovuto alla
natura drammatica dei fatti ma alla nostra impossibilità di decifrarli,
di decifrare qual è la realtà. Quindi lo spettatore non può far altro che ricercare una verosimile
unità nella storia cercando di dar credito a quello che gli viene
raccontato. Avviene una fusione tra lo spettatore e chi racconta le cose.
Conviene rinunciare a mettere distanza tra se stessi e quello che viene
detto e mostrato, conviene evitare di fare troppe domande o cercare di
ristabilire il giusto significato di una parola. L’unità nazionale, la
fusione tra chi sorveglia e chi viene sorvegliato, può relizzarsi solo
in questo modo. Mettere in piazza tutti i difetti, tutti gli errori che troviamo nel
discorso del potere su questi attentati ha come effetto la creazione di
una psicosi e la soppressione di qualsiasi meccanismo di difesa non solo
verso certi comportamenti specifici, ma verso “qualsiasi azione o
dichiarazione del potere" per esempio, verso certe leggi come quelle
sull’informazione che dichiarano la vita privata fuori dalle libertà
fondamentali.
Un atto di guerra contro la popolazione
Approvata nel giugno 2015, la legge sull’informazione, un progetto
pronto da più di un anno, ci è stata presentata come risposta
all’attentato di Charlie Hebdo. La legge autorizza particolarmente
l’installazione di "scatole nere" presso i fornitori di servizi Internet
per catturare i metadati degli utenti in tempo reale e permette anche
l’installazione di microfoni, luci di localizzazione, telecamere e
spyware. Sono soggetti a queste particolari tecniche di ricerca - non
gli agenti di una potenza straniera - ma la popolazione francese. Quest’ultima quindi è trattata come un "nemico" dal potere
esecutivo, quello stesso Potere che decide e "controlla" quei
dispositivi segreti. Con il pretesto della lotta contro il terrorismo,
questa legge legalizza misure già in atto, mettendo a disposizione
dell’Esecutivo un dispositivo permanente, e praticamente illimitato, di
sorveglianza clandestina sui cittadini. L’assenza di qualsiasi risultato nella prevenzione degli attentati
dimostra che il vero motivo di quella legge era dare un colpetto di
riaggiustamento all’ Hexagon (alla Francia) e non terroristi. Deviando
la natura dei servizi di informazione, del controspionaggio e
trasformandoli in strumenti di “sorveglianza sui cittadini”, questa
legge è un atto di guerra ideale contro la cittadinanza.
I massacri appena avvenuti a Parigi, invece, sono la realtà.