Neonati Geneticamente Modificati

Non si tratta di un racconto di fantascienza: un genetista del New Jersey è stato capace di "produrre" neonati a partire da cellule di tre adulti. E non solo: quindici neonati di una prima fase di esperimenti, hanno da uno a quattro anni.   

Dipendesse da noi, probabilmente, faremmo di tutto per far sì che la nostra discendenza non possieda alcuni dei nostri geni: quelli che predispongono al cancro, alla calvizie o anche alla depressione. Altri farebbero in modo che i loro figli siano più alti, avessero la pelle più chiara o un bel naso appuntito.

Per la stragrande maggioranza delle persone, la modificazione genetica è un racconto di fantascienza che appartiene ad un futuro lontano e per questo non lo inseriamo nel nostro spettro di tempo.

Presso l’Istituto di Neuroscienze e Scienza Riproduttiva del New Jersey, però, la modificazione genetica è cosa di tutti i giorni.

Il pioniere della ricerca sulla fertilità è il professor Jacques Cohen. La sua esperienza è tale che -secondo quanto afferma- clonare un bebé "umano" rappresenterebbe solo "una sera di lavoro per uno dei miei studenti".

L’Eugenetica (studio dei metodi volti al perfezionamento della specie umana attraverso selezioni artificiali) ci riporta agli sperimenti sociali del nazismo. Storicamente l'Eugenetica, intesa come campo di ricerca, è stata suggerita per la prima volta da Platone; in seguito è stata menzionata molte volte da Darwin, e ne ha influenzato le teorie.

Ora appartiene ai nostri giorni: i primi neonati disegnati con l’ingegneria genetica sono già stati “creati”. Alcuni di loro avrebbero già compiuto quattro anni. Secondo Cohen, negli ultimi tre anni, sono nati quindici neonati, risultato di un programma sperimentale portato avanti a San Bernabé. I bambini sono nati da donne con evidenti problemi di concepimento. 

Prove di identificazione genetica in due dei bambini di un anno, confermano che hanno ereditato il DNA di tre adulti: due donne e un uomo. Visto che il DNA si trasmette da padre in figlio, questi bambini passeranno la loro informazione genetica ai loro discendenti. I mitocondri delle loro madri non avrebbero permesso loro di concepire, per questo parti di ovuli sani sono stati inseriti negli ovuli delle donne non fertili.

Visto che gli ovuli contengono DNA, aver incorporato il DNA delle donatrici in quelli delle donne non fertili (oltre allo sperma maschile) dà a questi quindici neonati una formazione genetica che non esiste nell’umanità. La comunità scientifica su questo campo è divisa e non totalmente convinta che questo procedimento sia etico e desiderabile.

Lord R. Winston dell’Hammersmith Hospital di Londra ha affermato: "Per quanto concerne il trattamento della infertilità, non esiste prova che valga la pena di realizzare questa tecnica … Sono molto sorpreso che sia arrivati a questo punto. In Inghilterra non sarebbe certo permesso.”

John Smeaton, direttore nazionale della Society for the Protection of Unborn Children (Società per la Protezione dei Bambini Non-Nati) dichiarò: "Abbiamo una terribile empatia per le coppie che soffrono di problemi di fertilità ... Il processo di fertilità in vitro come forma di concepimento, porta inevitabilmente a considerare i nascituri come oggetti. Gli stessi oggetti che si possonono produrre in qualsiasi catena di produzione industriale. Questo è un passaggio molto preoccupante, e non è certamente il messaggio che doveva passare".

Questa situazione ci porta a pensare che l’umanità delle prossime decadi si dividerà (ancora di più) tra esseri concepiti “naturalmente” e quelli concepiti in laboratorio.

Si tratta solo di un processo che permette ad una coppia di avere un bambino sano e di farsene carico, o di un ramo dell’umanità che potrebbe mettere in pericolo la stabilità della specie sotto l’aspetto sociale e genetico?

D’altra parte la modificazione genetica delle coltivazioni agricole (transgenici) ha allarmato molte associazioni ecologiche e di agricoltori; la modificazione delle culture intacca non solo la qualità degli alimenti, ma anche le specie animali e vegetali dell’ecosistema.

Succederà lo stesso con gli esseri umani? Siamo capaci di predire con precisione gli effetti secondari dei nostri esperimenti? Siamo disposti a correre il rischio? 
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