La Cina fa spesa di energia in Italia

Prima il Portogallo, adesso l’Italia: la Cina investe sempre più in infrastrutture europee. Il 35% della rete elettrica italiana apparterrà in futuro a un’impresa statale cinese. 

In Italia ci sono molte persone che non vogliono credere che i molti cinesi arrivati sono giunti da soli e di propria iniziativa. Di quartieri cinesi ne sono sorti negli ultimi vent’anni in tutte le grandi città, soprattutto a Milano e Roma. Si pensi poi all’industria tessile cinese di Prato o ai commercianti cinesi, ad esempio, che a Mestre hanno messo in piedi il commercio di articoli di marca contraffatti, gestito da immigrati clandestini. Può essere che tutte queste persone viaggino in Europa senza la compiacenza dello Stato cinese, per restarvi un paio di anni, se non addirittura un’intera vita, o c’è dietro un piano? Le recenti notizie tratte dalle relazioni economiche italo-cinesi rinfocolano le relative teorie complottistiche. Lo Stato italiano venderà per mezzo della banca di sviluppo Cassa depositi e prestiti (CDP), una partecipazione del 35% della sua rete energetica all’impresa statale cinese State Grid International Development. Il prezzo del gruppo energetico CDP Reti sarà di almeno 2,1 miliardi di euro. L’accordo stabilisce che CDP Reti conferisca il 30% all’operatore della rete del gas Snam e una quota uguale di gestione alla rete elettrica dell’operatore Terna.

L’acquisto fa parte di una lunga serie di investimenti in Europa

Le quote non sono abbastanza grandi da influenzare massicciamente le sorti della rete energetica. Tuttavia, l’acquisto va ad aggiungersi a una lunga lista di aziende in cui le imprese cinesi hanno investito nel quadro delle infrastrutture europee. Da due anni la State Grid è coinvolta con un quarto delle quote col fornitore energetico portoghese Redes Energéticas Nacionais. Nel marzo di quest’anno, la banca popolare cinese ha acquisito per 2,3 miliardi di euro circa il 2% delle società energetiche italiane di Stato Eni ed Enel; in maggio la Shanghai Electric Group ha preso il 40% della Ansaldo Energia, che si occupa soprattutto della costruzione di centrali elettriche. In realtà alla banca di sviluppo italiana CDP era stato assegnato l’incarico da parte del governo di recuperare quest’anno 11 miliardi di euro tramite la privatizzazione delle imprese statali, contribuendo così alla riduzione del debito nazionale. Non è ancora chiaro se abbia raggiunto l’obiettivo – non solo perché mancano ancora un paio di miliardi, ma perché è ormai evidente quanto sia difficile appurare quando e in che modo la CDP sarà in grado di trasferire effettivamente allo Stato il ricavato della vendita.

Le imprese di Stato convengono davvero agli investitori?

Nell’offerta c’è dell’altro: quasi la metà di Fincantieri, il cantiere navale più grande in Europa con sede a Trieste. Quotata in borsa dal mese di giugno, anche se lo Stato ancora non ha visto un soldo. Il 40% di Poste Italiane, il più grosso datore di lavoro d’Italia con 140.000 dipendenti, è ancora disponibile. In vendita è anche una parte significativa di Grandi Stazioni, la società che gestisce le 14 maggiori stazioni ferroviarie italiane. Non è per nulla certo se l’apparente aumento delle vendite – il tentativo da parte dello Stato di raccogliere fondi – vada di pari passo, in qualche modo, con un calcolo imprenditoriale volto a rafforzare la competitività della società interessata. Un esempio negativo è Alitalia. La compagnia aerea doveva nel 2007 essere venduta ad alcune compagnie aeree straniere, ma fu poi salvata in extremis da una società di ristrutturazione parastatale; ora è stata ceduta alla Etihad di Abu Dhabi.

La Cina è interessata alla stabilità del business "energia" dello Stato

Quali interessi una società statale cinese potrebbe avere, a breve e medio termine, d’investire nella fornitura in Italia di energia, qui è evidente: lo Stato, al quale appartiene pur sempre la parte più grande di una tale società e delle sue attività, ne garantisce lo sfruttamento e i relativi introiti. E ciò in un contesto di stabilità, cosa che altri ambiti d’investimento da molto non garantiscono più, nonostante il ritorno probabilmente modesto. La rete energetica, così come le poste e le ferrovie, appartiene alla fin fine ai prerequisiti generali dell’attività economica di un Paese, senza i quali non esistono né industria né società. Detto questo, gli investimenti del settore privato raramente risultano vantaggiosi in tali condizioni: richiedono troppo capitale anticipato e i tempi di recupero sono così dilatati che senza il sostegno dello Stato nessuna strategia aziendale li considererebbe. Difatti nessuna società europea ha valutato seriamente le quote della CDP Reti – nulla di cui sorprendersi.

I teorici della cospirazione credono nella "testa di ponte"

A una società statale cinese, il calcolo di un investimento in infrastrutture strategiche di un grande Paese europeo, tuttavia, può apparire in un’altra ottica. Il ministro dell’economia e delle finanze Pier Carlo Padoan non ne fa un mistero: il suo governo è sì coinvolto con l’azienda che investe internazionalmente il capitale cinese, ma “attraverso il sistema finanziario europeo”, operazione da lui avallata pienamente. Le teorie del complotto circolano, naturalmente. Alle più prudenti corrisponde anche la teoria dell’economista e pubblicista Carlo Pelanda, docente universitario negli USA. Egli ritiene che la Cina si predisponga con i suoi investimenti strategici a operare un cambiamento radicale nel mercato mondiale, magari in vista dell’entrata in vigore di una zona di libero scambio euro-americana. Le teorie più audaci che circolano in Italia intravedono invece scenari ben più brutali, dalla “testa di ponte” ad altre ancor più intricate.

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