Nel Quadrennial Review del 2006, il Pentagono aveva assegnato sei portaerei e il 60 per cento dei sottomarini degli Stati Uniti al Pacifico. Washington aveva approvato la vendita di armi a Taiwan per 6 miliardi di dollari, nonostante le strenue obiezioni provenienti dalla Cina. Prima che la nuova strategia del Pentagono fosse annunciata, il presidente Barack Obama dichiarava la permanenza di truppe statunitensi in Australia.
Ma con la fine dell’occupazione dell’Iraq e l’inizio della ritirata dall’Afghanistan, gli Stati Uniti vogliono identificare nuovi nemici da combattere. Gli interessi di sicurezza ed economici degli USA - sottolinea il documento del 2012 del Pentagono - sono indissolubilmente legati agli sviluppi nell’arco che si estende dal Pacifico occidentale all’Asia orientale, all’Oceano Indiano e del Sud. Gli Stati Uniti, secondo la nuova dottrina, dovranno necessariamente riequilibrarsi verso la regione Asia-Pacifico.
Obama, che era presente quando il documento è stato rilasciato il 5 gennaio, ha chiarito ricordando al mondo che anche se il bilancio della difesa è stato tagliato, negli Stati Uniti le spese per la difesa avrebbero ancora continuato a rimanere superiori ai bilanci della difesa combinati delle 14 altre più grandi potenze militari del mondo. “Nei prossimi 10 anni, la crescita del bilancio della difesa rallenterà, ma il fatto è questo: crescerà ancora”, ha detto ai media di Washington.
La più recente dottrina del Pentagono individua la Cina come il nemico che gli Stati Uniti dovranno affrontare. Nel lungo termine, l’emergere della Cina come potenza regionale ha il potenziale d’influenzare l’economia statunitense e la nostra sicurezza in una varietà di modi … Gli Stati Uniti continueranno a fare una serie di investimenti per assicurarci il controllo dell’accesso regionale e la capacità di operare liberamente, afferma il documento. La crescita della potenza militare della Cina deve essere accompagnata da una maggiore chiarezza delle sue intenzioni strategiche, al fine di non provocare attriti nella regione. Anche se funzionari statunitensi continuano a insistere sulla minaccia cinese, ammettono che il paese è lontano dal raggiungere qualsiasi tipo di parità nelle capacità militari, con gli Stati Uniti.
Il documento prosegue evidenziando i continui sforzi del governo degli Stati Uniti per stringere alleanze militari ancora più forti con Giappone, Corea del Sud, Filippine e Indonesia. Sforzi sono attualmente in corso con l’India e il Vietnam per una alleanza anti-Cina. I documenti siglati con l’India, la descrivono come un ancoraggio regionale e un fornitore di sicurezza per l’intera regione dell’Oceano Indiano. L’esercito statunitense ha svolto esercitazioni congiunte con le controparti indiane e vietnamite per alcuni anni.
Gli Stati Uniti hanno revocato il divieto di cooperazione militare con le Forze Speciali “Kompas” dell’Indonesia. Molti degli altri paesi della regione, come Singapore, Thailandia, Filippine e Australia, sono alleati militari degli Stati Uniti da lungo tempo. Un altro dei vicini della Cina, il Myanmar, sembra correre in un abbraccio strategico con l’Occidente.
Gli Stati Uniti vogliono che il Pacifico rimanga un “lago americano” e al tempo stesso garantiscano il libero accesso alle navi da guerra, attraverso gli stretti chiave dell'Asia; lo Stretto di Hormuz e lo Stretto di Malacca. Il nuovo documento del Pentagono in diverse occasioni cita la determinazione degli Stati Uniti a garantire la “libera circolazione delle merci” e “l’accesso ai beni comuni globali”. Poco dopo la sua uscita, un influente think tank statunitense vicino all’amministrazione Obama, il Center for a New American Society (CNAS), ha invitato Washington a perseguire la politica del “primato della cooperazione” nel Mar Cinese Meridionale, per preservare la libertà di navigazione e l’indipendenza dei paesi più piccoli della regione.
Nel 2010, la segretaria di stato statunitense Hillary Clinton ha segnalato che Washington, ancora una volta, iniziava a riportare seriamente la sua attenzione sul contenimento della Cina. Ha dichiarato che gli Stati Uniti avevano un “interesse nazionale” nel Mar Cinese Meridionale ed erano pronti a mediare sulle dispute territoriali in cui la Cina era coinvolta assieme ai suoi vicini più piccoli.
Il Mar Cinese Meridionale, che si estende su più di un milione di chilometri quadrati, collega l’Oceano Indiano con il Sud Pacifico. Ha rotte marittime vitali e grandi quantità di petrolio e di gas non sfruttate. Se gli Stati Uniti e i loro alleati sono in grado di esercitare un controllo sul Mar Cinese Meridionale, sarà poi facile montare un efficace blocco navale della Cina.
Il portavoce del ministero della difesa cinese, Geng Yansheng, ha detto che le accuse mosse contro la Cina nel documento del Pentagono sono “totalmente infondate”. Ha sottolineato che "lo sviluppo pacifico della Cina rappresenta un’opportunità piuttosto che una sfida alla comunità internazionale". Ha espresso la speranza che gli Stati Uniti trattino con la Cina e l’esercito cinese “in modo oggettivo e razionale”.
Il quotidiano dell’esercito Popolare di Liberazione ha pubblicato un articolo di un alto ufficiale dell’esercito, il Maggiore Generale Luo Yuan, accusando gli USA di puntare alla Cina. “Guardandoci in giro, possiamo vedere che gli Stati Uniti rafforzano le sue cinque grandi alleanze militari nella regione Asia-Pacifico e stanno adeguando la posizione delle loro cinque principali basi militari, cercando nel contempo dei diritti per insediare altre basi militari intorno alla Cina”, ha scritto. L’agenzia di stampa Xinhua ha consigliato l’amministrazione Obama ad “astenersi dal mostrare i muscoli”.
Le truppe statunitensi potrebbero aver lasciato l’Iraq, ma i politici di Washington mirano a mantenere la loro morsa sulle risorse petrolifere della regione. “La politica degli Stati Uniti porrà l’accento sulla sicurezza nel Golfo,” dichiara la nuova strategia militare. Non ci sono proposte per chiudere le basi militari statunitensi nella regione o per ridurre il numero delle truppe base nei Paesi del Golfo allineati agli Stati Uniti.
Il Pentagono ha risposto il 3 gennaio a un avviso iraniano a mantenere le portaerei degli Stati Uniti fuori dal Golfo Persico, dichiarando che le navi da guerra statunitensi avrebbero continuato i regolari dispiegamenti in quello stretto strategico. Obama ha fatto finta di accettare la “primavera araba”, ma ha rafforzato i regimi autoritari come l’Arabia Saudita. L’accordo per la vendita di armi statunitensi all’Arabia Saudita lo scorso anno, è stata descritta come la più grande della storia. Il documento dettaglia l’importanza della difesa degli stati del Golfo nel confronto imminente con l’Iran. Il segretario alla difesa statunitense Leon Panetta, parlando durante la presentazione del documento del Pentagono, ha affermato che l’esercito statunitense è ben preparato a combattere guerre terrestri simultanee in Iran e nella penisola coreana.
Le truppe statunitensi rimarranno in Germania, Giappone e Corea, sebbene la Seconda Guerra Mondiale è finita più di 65 anni fa. Gli Stati Uniti cercano basi militari in Africa e in Asia. Poi c’è la minaccia di usare armi nucleari. “Anche quando le forze statunitensi saranno impegnate in operazioni su larga scala in una regione, saranno in grado di negare gli obiettivi – o imporre costi inaccettabili – a un aggressore opportunista in una seconda regione,” afferma la dottrina del Pentagono. Il documento ha chiarito che “imporre costi inaccettabili” significa che gli Stati Uniti “possono schierare le forze nucleari che possono in ogni caso affrontare un avversario con la prospettiva di un danno inaccettabile”.
Obama ha ulteriormente rafforzato la politica di “prevenzione” che l’amministrazione Bush aveva messo in atto dopo gli eventi del 9/11. Questa politica non ha alcuna sanzione ai sensi del diritto internazionale. Dal 2001, gli Stati Uniti hanno bombardato e invaso paesi se la Casa Bianca riteneva che i suoi interessi nazionali fossero in gioco. Il piano strategico per il 2007-12 dell’amministrazione Bush, aveva l’obiettivo di “affrontare direttamente le minacce alla sicurezza nazionale o internazionale”. L’ultimo documento del Pentagono afferma che gli Stati Uniti, per il prossimo futuro, conservano il diritto “di stabilire un controllo su territori non governati, e di colpire direttamente i gruppi e gli individui più pericolosi, in caso di necessità”. Gli Stati Uniti, appropriandosi del ruolo di poliziotto del mondo, ovviamente conservano il diritto di determinare quali siano gli individui, i gruppi e i paesi pericolosi che devono essere presi di mira. Questa politica di prelazione è già testimoniata in Somalia e Yemen.
In Iran, il governo ha accusato la CIA di attaccare i suoi scienziati nucleari. Secondo molti rapporti, l’esercito statunitense ha avuto un ruolo chiave nell’uccisione del leader libico Muammar Gheddafi.
L’obiettivo del Pentagono di combattere “due guerre” contemporaneamente comporterà un maggior uso di droni militari e “bombardamenti di precisione strategici”. Gli Stati Uniti hanno annunciato che prevedono di implementare droni navali nel Pacifico entro il 2018. Una nuova generazione di droni navali è in fase di sviluppo negli Stati Uniti, che saranno in grado di gestire a 2.500 chilometri di distanza dal vettore, mettendo le navi fuori pericolo. Gli Stati Uniti hanno già iniziato ad addestrare più piloti sia per operare sui droni che sui caccia e bombardieri convenzionali.
L’uso di droni, conosciuti come “i messaggeri di morte” in luoghi dove hanno provocato il caos, è salito notevolmente dopo che Obama è entrato alla Casa Bianca. Secondo le statistiche pubblicate da Der Spiegel, Obama spedisce in azione un drone armato di missili una volta ogni quattro giorni. Durante la presidenza Bush, la media era uno drone ogni 47 giorni. In 10 anni, il Pentagono è passato da 50 a 7 mila droni. Uno sviluppo portentoso e, per certi versi, simile a quello dei vecchi jet da combattimento, nati nella Prima guerra mondiale come aerei da ricognizione e poi diventati cacciabombardieri. Il mercato globale è destinato a crescere entro il 2021 dagli attuali 7 miliardi a 130 mld di dollari.