Globalizzazione economica e cambiamento del clima

Il cambiamento del clima indotto dalle attività umane è sicuramente la più grave crisi ambientale che ha di fronte l'umanità. La continua, perpetua emissione di gas di scarico dati dalla combustione di petrolio e carbone e la contemporanea distruzione delle foreste (che normalmente assorbivano questi gas, ma mai nella quantità di emissione attuale) ha portato all'attuale saturazione di gas esausti nell'atmosfera causando l'effetto serra - il calore solare rimane intrappolato (come in una serra) causando l'aumento della temperatura sulla superficie del pianeta. Con maggiori temperature abbiamo anche maggiore energia nel clima della Terra, con eventi meteorologici sempre più violenti come - ad esempio - le ormai continue alluvioni che si abbattono sull'Italia ogni anno o ancor di più delle vere e proprie catastrofi come l'uragano Mitch che causò 10.000 morti e distrusse le economie e le infrastrutture di due nazioni centro americane nel 1998.

L'innalzamento della temperatura sta facendo sciogliere i ghiacci dei poli e dei ghiacciai millenari delle più alte montagne e si sta anche spostando verso nord il confine di malattie tropicali come dengue e malaria. Persistendo questa tendenza saranno sempre più frequenti eventi meteorologici violenti, intrusione delle acque salate nelle regioni costiere pianeggianti, la morte delle foreste (qualora sopravvivessero al disboscamento operato dalle compagnie del legname). Anche l'agricoltura non potrà produrre come in precedenza, ampie zone diventeranno aride ed il ciclo economico potrebbe collassare.

Gli scienziati hanno da tempo ammonito i governi che a causa di questi eventi moriranno milioni di persone e ci troveremo di fronte a migrazioni dovute a cause ambientali di milioni e milioni di altre, ma constatiamo ogni giorno che tutto ciò viene ignorato per servire gli interessi delle multinazionali del petrolio, dell'automobile e simili condannando a morte l'umanità per il profitto.

La globalizzazione economica, il complesso di regole imposte dal WTO, stanno aggravando velocemente il problema del cambiamento del clima imponendo ovunque il modello industriale, basato su un grande dispendio di energia derivata da carbone e petrolio. Una delle filosofie fondamentali del neoliberismo è che i paesi si debbono specializzare in produrre ed esportare ciò in cui riescono meglio ed importare ogni altra cosa. La prima misura è l'abbattimento delle barriere doganali, la prima conseguenza l'abbandono dell'economia locale di sussistenza per passare a produrre esclusivamente merci da esportare. Merci che vanno poi trasportate in tutto il mondo e che producono di conseguenza ulteriori gas serra. Per esempio per ogni kg. di Kiwi trasportato dalla Nuova Zelanda si producono come conseguenza del suo spostamento 5 kg. di ossido di carbonio. Anche in Italia importiamo, incredibilmente, agrumi (come ad esempio i pompelmi) dal Sud Africa con un dispendio di energia per il trasporto vergognoso. In Inghilterra una tonnellata di cibo viaggia per 123 km prima di arrivare alla vendita al dettaglio, nel 1978 ne percorreva 82. Quando ci mettiamo a tavola (se non facciamo attenzione e compriamo cibo industriale a basso prezzo nella grande distribuzione) facilmente ci troveremo nel piatto patate egiziane, fagioli kenyani, asparagi californiani, ecc.

Questo è possibile grazie al basso prezzo del petrolio voluto e imposto (pena la guerra) dalle compagnie petrolifere e dall'industria dei trasporti.

Anche per i componenti elettronici o meccanici vale lo stesso processo. Per assemblare un ascensore americano OTIS il sistema delle porte arriva dalla Francia, i motori dal Giappone, l'elettronica dalla Germania e gli ingranaggi dalla Spagna. Tutti questi componenti vengono poi spediti negli U.S.A. dove vengono assemblati e poi esportati in tutto il mondo... nel processo vengono percorsi migliaia e migliaia di chilometri - avanti e indietro. Lo stesso discorso può essere fatto per un vasetto di yogurt o per moltissimi altri prodotti. Se il costo del trasporto fosse sensibile questo non avrebbe senso, ma non è così ...e il risultato è il cambiamento del clima.

Con la globalizzazione si sta espandendo su scala planetaria l'agricoltura industriale, sostenuta dai governi e dai finanziamenti della Banca Mondiale, quasi interamente dipendente da ingenti consumi energetici. Quei paesi che prima praticavano sistemi di coltivazione ed allevamento con bassi consumi energetici, ora senza più protezioni di fronte all'invasione di prodotti a basso costo e ad accordi come il NAFTA o il WTO sono costretti ad abbandonare i metodi tradizionali, in piccola scala, e debbono adeguarsi al sistema intensivo, dell'agricoltura meccanizzata, fertilizzanti, pesticidi, irrigazione con pompe, processamento e confezionamento dei prodotti senza contare il trasporto dopo aver lasciato il luogo di produzione. L'agricoltura industriale nasconde un perverso risultato: consumiamo più energia per produrre il cibo di quanta ne ricaviamo mangiandolo. Il risultato dell'espansione globale dell'agricoltura industriale è l'esponenziale aumento del consumo energetico e conseguentemente delle emissioni con risultati disastrosi per il clima.

Con la liberalizzazione degli investimenti e del commercio tecnologie distruttive per l'ambiente, come l'automobile, vengono diffuse in società e culture che non ne erano ancora dipendenti. Il tasso di crescita di vendite di auto in Messico è aumentato del 40%, ma la corsa delle multi dell'auto è puntata verso quei "nuovi mercati" che potranno permettere nuovi multimiliardari profitti, oltre quelli normalmente prodotti dal saturo mercato occidentale (in Italia abbiamo di media una macchina e qualcosa per persona). I "nuovi mercati" sono i paesi dell'ex-Unione Sovietica che ancora hanno una macchina ogni 21 persone, l'India (una macchina ogni 455 persone) e la Cina (una macchina ogni 1.000 persone). Subito come risultato della liberalizzazione degli investimenti, in Cina, dove la gente si muove principalmente in bicicletta o con il trasporto pubblico, la General Motors ha recentemente firmato un contratto da 1 miliardo di dollari per produrre 100.000 auto di media dimensione ogni anno. La conseguenza della conquista di questi mercati, la proliferazione dell'auto ovunque, sul cambiamento climatico è drammaticamente facile da immaginare.

Un'altra struttura protagonista della globalizzazione è la Banca Mondiale (BM) che ha finanziato e sviluppato progetti ad intensivo uso di energia fossile finanziando ad esempio la costruzione di 51 centrali energetiche di questo tipo e l'apertura di 26 miniere di carbone. Negli ultimi dieci anni la Banca Mondiale ha speso 25 volte di più per finanziare progetti basati su carbone e petrolio rispetto a quelli basati su energie rinnovabili. Naturalmente i principali beneficiari di questi progetti sono le multinazionali che hanno sede nei paesi del G8 (questo spiega perché per ogni dollaro che gli USA pagano alla Banca Mondiale ne tornano 1,30 come investimenti di ritorno nelle corporation USA).

Con l'allargamento globale dei mercati sono straordinariamente aumentate le possibilità di profitto per i colossi della produzione petrolifera che per competere in questo mercato hanno bisogno di diventare ancora più forti. Stiamo infatti assistendo a continui assorbimenti, acquisizioni e fusioni di compagnie in ogni campo (informatica, telecomunicazioni, auto, aerei, ecc.). Le compagnie petrolifere non fanno certo eccezione, al contrario, la fusione di due giganti come Exxon (Esso) e Mobil (valutata 250 miliardi di dollari) ha dato vita alla terza più grande corporation mondiale e la prima nel campo petrolifero. Ci sono da ricordare tra le altre le recenti fusioni tra BP e AMOCO e quella di Total con Petrofina ed Elf Aquitaine. Il risultato di queste fusioni è un eccezionale ed univoca concentrazione di potere economico nelle mani di compagnie che traggono profitti dall'estrazione di petrolio. Questo potere viene utilizzato senza remore per far fallire ogni sforzo teso a porre rimedio alle cause del cambiamento climatico. Non c'è da sorprendersi che gli USA al vertice dell'Aja si siano opposti ad ogni possibile accordo sulla riduzione delle emissioni, quando queste corporations negli USA hanno finanziato per 63,4 miliardi di dollari ENTRAMBI i partiti (democratico e repubblicano) tra il 1992 ed il 2008, speso 45 miliardi di dollari in attività di lobby solo nel 1998, 13 miliardi di dollari in pubblicità nei soli tre mesi precedenti il vertice sul clima di Kyoto (immaginate i giornali e le TV di fronte a questa pioggia di soldi come possono essere stati obiettivi nei loro giudizi). Altri milioni sono stati spesi per la creazione di agenzie, gruppi scientifici (come Global Climate Coalition) e gruppi di pressione fasulli per screditare i dati di fatto del cambiamento climatico ed evitare quindi ogni possibile rimedio... la riduzione delle emissioni e quindi dei CONSUMI.

Un'ultima parola va però spesa sulle regole del WTO e cosa inducono nell'economia mondiale.

Diventa impossibile per i governi applicare delle carbon-tax (tasse per ridurre le emissioni) ostacolerebbero la "libera" diffusione della merce. Comunque già nel 1992 fallì il tentativo di applicare nell'Unione Europea la carbon-tax, allo stesso modo, proposte che affossavano gli accordi di Kyoto sulla riduzione delle emissioni di gas serra sono state approvate dal senato USA per 95 voti a 0. Un unanimità che da piena soddisfazione alle compagnie per i finanziamenti che vi abbiamo descritto poco prima.

Le regole del WTO attaccano comunque gli accordi di Kyoto in molti punti soprattutto laddove le parti sono incoraggiate a instaurare pratiche di produzione, trasporto ecc. ad alta efficienza energetica ed a ridurre sensibilmente le emissioni, un obiettivo fondamentale nel mitigare il cambiamento del clima. E' quindi auspicata l'imposizione di standard di efficienza per i veicoli, e per l'industria, di leggi restrittive contro l'inquinamento, ma tutto ciò è vietato dal WTO. Se l'Europa imponesse uno standard per l'efficienza dei motori delle auto i produttori giapponesi farebbero ricorso al WTO perché questo ostacolerebbe il "libero commercio", ugualmente e viceversa lo farebbero i produttori europei (ed è esattamente quello che è successo). Ugualmente l'emanazione di una seria legge per la tutela dell'ambiente vedrà la minaccia da parte delle corporation di spostare la produzione in altri paesi dove queste restrizioni non esistono, stesso discorso viene fatto a fronte delle richieste dei lavoratori: "volete più soldi, più tutela, meno orario? Ce ne andiamo in Irlanda, in Messico, in India... il danno per le corporation è nullo. I loro prodotti arriveranno ugualmente nel nostro mercato e a prezzo minore di qualsiasi alternativa prodotta con sistemi meno eco-devastanti, o non prodotta da lavoratori in semischiavitù, o da lavoratori bambini.

Per questo c'è un movimento globale contro la globalizzazione, per questo la lotta è così radicale e la gente così motivata. Aldilà di tutte le stronzate sui teppisti, gli eco-terroristi, la nuova economia, la flessibilità etc. di cui ci riempiono la testa mezzi di informazione completamente controllati dalle multinazionali (o con la proprietà o con la pubblicità).


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