Cristianofobia: un problema dei nostri tempi

Allarme del Vaticano e dell’Onu. Cresce la “cristianofobia” in diverse zone del mondo. E non solo nei paesi islamici. Anche se questa nuova forma di razzismo paragonabile all’antisemitismo è, di fatto, una conseguenza della lotta al terrorismo.

Il 24 marzo, venticinquesimo anniversario della morte di monsignor Oscar Romero, il coraggioso vescovo salvadoregno assassinato durante la celebrazione  della Messa, la Chiesa cattolica ha ricordato i missionari martiri uccisi nel 2004 in quattro continenti. Quindici fra sacerdoti, religiosi, religiose, laici. Europei, americani, asiatici, africani.  Una tragica statistica resa nota dall’agenzia Fides, che nel conteggio non include solo i missionari “ad gentes” in senso stretto e che invita a non dimenticare anche  tutti coloro che, nell’invisibilità e nell’anonimato, come in Cina, versano il sangue per il Vangelo.

IN QUATTRO CONTINENTI

L’Africa il continente più insanguinato l’anno scorso con sei vittime. L’America ha visto la morte violenta di quattro sacerdoti, fra i quali un italiano ucciso sull’altare, come Romero, nella cattedrale di Santiago del Cile. Quattro gli assassinati  in Asia, di cui tre giovani pakistani percossi a morte per costringerli a rinnegare la loro fede. Un prete infine ucciso in Europa, nella tormentata terra di Bosnia-Erzegovina. E il martirologio non si è interrotto nel 2005. All’inizio dell’anno, un prete indonesiano assassinato a Giava e un missionario statunitense di 85 anni ucciso in Kenya. A metà gennaio l’escalation di violenza stava per segnare un macabro punto di svolta con il rapimento di un arcivescovo iracheno, per fortuna subito rilasciato, preso di mira per il solo fatto d’essere cristiano, cioè della stessa religione dei soldati occidentali.

Il felice epilogo del sequestro lampo del presule  non cancella però i timori della comunità cristiana irachena, sottoposta da mesi a un crescendo inquietante di intimidazioni, violenze e attacchi terroristici dopo gli attentati dell’estate e dell’autunno  2004 alle principali chiese di Baghdad e di Mosul, dove trovarono la morte decine di fedeli.

UN NEOLOGISMO PESANTE

La strategia del terrore, che si nutre del fanatismo islamico e antioccidentale, sta spingendo molti cristiani in Irak a scegliere la strada dell’emigrazione com’è già successo nei Territori palestinesi, in Egitto e in Siria. Un fenomeno iniziato dopo la prima guerra del Golfo, proseguito negli anni novanta e cresciuto enormemente dopo la caduta del regime di Saddam Hussein. Cristiani nel mirino dei fondamentalisti persino nei giorni del maremoto che ha sconvolto il Sud-Est asiatico. Nelle zone più colpite della Thailandia e nella provincia indonesiana  di Aceh alcuni missionari sono stati accusati di voler convertire al cristianesimo, approfittando della tragedia, popolazioni allo stremo, in particolare i bambini musulmani resi orfani dall’onda anomala. Un sito internet in lingua araba, vicino ad al-Qaeda, ha incolpato i missionari “di offrire con una mano cibo e medicinali e con l’altra il crocefisso”. I cristiani, dunque, sono ancora una volta bersaglio in diverse zone del pianeta. Al punto che nel dibattito internazionale sui diritti umani è entrata una parola nuova: cristianofobia. Un termine coniato in analogia a islamofobia e che sta a indicare una paura irrazionale (fobia) dei cristiani, che può portare ad atti di violenza e di intolleranza nei loro confronti.

Per la prima volta il neologismo è comparso in un documento dell’Onu, approvato circa un anno e mezzo fa, che denunciava  “con profonda preoccupazione il generale aumento di casi di intolleranza e violenza, diretti contro membri di molte comunità religiose  in varie parti del mondo, compresi casi motivati di islamofobia, antisemitismo e cristianofobia”. Lo stesso concetto è stato ripreso lo scorso novembre in una nuova risoluzione delle Nazioni Unite. L’allarme dell’Onu è stato rilanciato ai primi di dicembre dal “ministro degli esteri” della Santa Sede, l’arcivescovo Giovanni Lajolo. “La guerra al terrorismo, benché necessaria”,  ha affermato, “ha avuto tra i suoi effetti collaterali la crescita della cristianofobia in vaste zone del mondo dove, erroneamente, la civiltà occidentale o alcune strategie politiche dei paesi occidentali vengono considerate come determinate dal cristianesimo, o per lo meno non disgiunte da esso”.


FONDAMENTALISMO = PERSECUZIONE
Il 24 marzo 2005 ricorreva il 25° anniversario dell'assassinio del vescovo salvadoregno monsignor Oscar Romero, che molti considerano santo.


Il responsabile vaticano per i rapporti con gli stati ha precisato che la cristianofobia si manifesta in molte aree religiose “come un atteggiamento aggressivo verso i cristiani, la cui presenza e azione vengono interpretate in termini di proselitismo o ingerenza nelle culture locali”. E ciò accade “non solo nei paesi islamici”. Infatti vi sono campagne di stampa e di aggressioni  anche in ambienti induisti (soprattutto per l’impegno dei cristiani tra le popolazioni tribali più povere dell’India) e in stati buddisti come il Laos, dove il governo ha detto di voler cancellare la religione cristiana. “In un contesto internazionale segnato dall’insorgenza di fondamentalismi – ha denunciato Lajolo – sono frequenti le costrizioni ad aderire a credi o fedi religiose”. Ed è quindi   necessario “tutelare la libertà di fede e di coscienza”. Di fatto, la libertà religiosa resta un diritto non sufficientemente riconosciuto o adeguatamente salvaguardato in numerosi stati, specie in quelli a maggioranza musulmana dell’Africa e dell’Asia e nei paesi comunisti del continente asiatico.

Perciò il Papa, parlando il 10 gennaio agli ambasciatori dei 178 paesi e istituzioni internazionali che hanno rapporti con la Santa Sede, ha chiesto che “in tutto il mondo la libertà religiosa sia protetta da un’efficace tutela giuridica”. “Non si tema che la libertà religiosa, una volta riconosciuta alla Chiesa cattolica – ha sottolineato, riferendosi  senza far nomi ai paesi che la limitano fortemente, come l’Arabia Saudita  e la Cina – sconfini nel campo della libertà politica o delle competenze proprie dello Stato: la Chiesa sa ben distinguere, com’è suo dovere, ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio”.

di Silvano Stracca
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