Il ruolo dei paesi sottosviluppati

I paesi meno sviluppati nella nuova globalizzazione hanno  in genere  il ruolo di fornire materie prime e manodopera a basso costo. L'Africa appare presente nel sistema globale quasi esclusivamente come fornitrice di materie prime e da alcuni anni fornisce manodopera all'Europa. L'America latina fornisce materie prime e manodopera soprattutto agli USA. L' Indocina fornisce materie prime e manodopera al Giappone e alla Australia.

Proprio perché le risorse della terra sono scarse e non consentono a tutti di vivere nel lusso, la nostra parte di mondo ha risolto il problema facendo la parte dei leone. Prendiamo tutto noi e la discussione è finita! Purtroppo non si tratta di una battuta scherzosa, perché il mondo è come diviso in due. Da una parte ci sono paesi con una potente struttura industriale, grande capacità tecnologica, molti servizi e un benessere diffuso. Dall'altra paesi con un apparato industriale instabile,debole o nullo, servizi pubblici scadenti, larghe fasce di popolazione che vivono in condizioni disumane.

Al primo posto vengono gli Stati Uniti, seguiti da Canada, Europa occidentale, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, e poiché sono collocati quasi tutti nell'estrema parte settentrionale del globo, sono stati genericamente definiti Nord del mondo.

Per contrapposizione il secondo gruppo, formato da tutti gli altri paesi, è stato definito Sud  del mondo. Per capire quanto è squilibrato il mondo basta dare un'occhiata ai consumi. Il Nord che ospita solo un miliardo e 200 milioni di persone, pari al 20% della popolazione planetaria, consuma più dei due terzi dei metalli e dei legname prodotti a livello mondiale, brucia il 70% di tutta l'energia prodotta nel mondo e mangia il 60% di tutto il cibo raccolto sul pianeta. In breve si appropria di circa l'80% di tutte le risorse della terra.

Così stando le cose non c'è da stupirsi se l'altro 80% dell' umanitá vive in povertà. Noi lo teniamo volutamente in povertà perché non vogliamo condividere con loro le risorse che la Terra contiene in quantità limitata.

Le materie prime.
Compriamo alla cieca su pressione della pubblicità e la sola cosa che sappiamo dei prodotti che portiamo a casa è quanto costano. Non abbiamo neanche la curiosità di sapere da dove vengono, chi li ha prodotti, di cosa sono fatti. Per questo non ci rendiamo conto di quanto materiale, di quanta energia ci voglia per produrre i beni che consumiamo quotidianamente. Spesso sono cifre da capogiro. Prendiamo come esempio una lattina di alluminio di quelle usate dalla Coca Cola. Pesa solo 15 grammi, un peso apparentemente insignificante, ma se lo moltiplichiamo per il milione di lattine consumate ogni giorno nel mondo otteniamo la bella somma di 15 tonnellate di alluminio su cui possiamo fare un ragionamento. Diciamo subito che l'alluminio non si trova già pronto in natura. Si ricava dalla bauxite, che è un composto appesantito da molti detriti. 

Conclusione: per ottenere le nostre 15 tonnellate di alluminio bisogna estrarre dalla terra una massa di materiale che pesa quattro volte tanto, ossia 60 tonnellate. A noi che viviamo in una zona priva di miniere, questa informazione lascia indifferenti, ma proviamo a trasferirci in Brasile, dove si estrae la bauxite. La prima scoperta che faremmo è che la bauxite si trova nel bel mezzo della foresta amazzonica e che per arrivare ai giacimenti si sono costruite delle strade che hanno richiesto l'abbattimento di milioni di alberi. La seconda scoperta è che migliaia di abitanti della foresta sono stati costretti a sloggiare. La terza scoperta è che accanto alle fonderie si accumulano montagne di detriti e di altri rifiuti industriali. Ma ancora non e finita. Per trasformare la bauxite in alluminio ci vuole una quantità enorme di energia elettrica che a sua volta richiede gasolio: per l'esattezza, mezzo litro per ogni chilo di alluminio prodotto. Ma anche il gasolio ha la sua bella storia di rifiuti che vanno a sommarsi a quelli della bauxite.

Con queste cuffie senza fili potete sentire i vostri cantanti preferiti. I filamenti di rame incassati nella plastica fanno giungere la musica ai vostri orecchi. State al ritmo, rilassatevi e apprezzate la  tecnologia che ha estratto un grammo di rame da un kg di minerale grezzo che a sua volta ha lasciato alle sue spalle 2 kg di detriti rocciosi.

Per ottenere fili di rame puro per queste cuffie molto leggere, il minerale è stato polverizzato, mescolato ad acqua e ad altre sostanze chimiche e portato a fusione. Come extra è stato ottenuto biossido di zolfo e piogge acide la produzione di rame è fra le attività più inquinanti e contribuisce a produrre 1/4 dei biossido di zolfo prodotto nelle nazioni industrializzate. Questo settore di prestigio ha utilizzato energia equivalente a 110 litri di petrolio per estrarre, frantumare, macinare e fondere il rame necessario per queste cuffie. Per questo prodotto di alta tecnoloqia ed ottima qualità offriamo 12 mesi di garanzia: batterie escluse.

Se ci fosse una equa distribuzione delle ricchezze tutti i popoli del pianeta potrebbero vivere bene! 441 miliardari nel mondo posseggono in ricchezze quanto 2.500.000.000 di diseredati.

LO SFRUTTAMENTO DEI LAVORATORI


L'opera di saccheggio del Sud del mondo è completata da un'altra via che è quella dello sfruttamento dei lavoratori. Le peggiori forme di sfruttamento e di repressione sindacale si incontrano nelle piantagioni. In Kenya, ad esempio, la legge garantisce alcuni diritti sindacali e sociali solo a chi lavora in maniera continuativa oltre 90 giorni. Perciò molti braccianti sono assunti per 89 giorni, stanno a casa un giorno e sono riassunti di nuovo come stagionali il giorno dopo. Molto spesso si ricorre anche al lavoro minorile. In India, nelle piantagioni di tè lavorano 57.000 bambini sotto i 14 anni. In effetti, se i prodotti potessero parlare, racconterebbero di braccianti che lavorano nelle piantagioni di banane, di tè, di gomma, di olio di palma, per giornate interminabili in cambio di salari infami. Racconterebbero di contadini che non possono neanche mandare i loro figli scuola perché per il loro caffè ricevono dei prezzi che a volte non coprono neanche i costi di produzione. Racconterebbero di minatori che muoiono giovanissimi perché lavorano in condizioni molto rischiose senza nessun tipo di protezione. Racconterebbero di operaie giovanissime che passano 10-11 ore al giorno in fabbriche di scarpe sature di solventi micidiali in cambio di un salario che non copre neanche i bisogni fondamentali. Racconterebbero di bambini tessitori di tappeti che lavorano incatenati ai telai. Ecco perché i prodotti del Sud costano cosi poco e noi possiamo consumarne in quantità!

I modi attraverso i quali le multinazionali si arricchiscono alle spalle del Sud del mondo variano a seconda dei prodotto che trattano. Nel caso della banana, esse si arricchiscono attraverso lo sfruttamento diretto dei braccianti che lavorano nelle loro piantagioni. Chiquita, ad esempio, in Centro America possiede 144.000 acri e dispone di 38.000 dipendenti che tratta male e paga poco. Nel caso del caffè, le multinazionali non spingono la loro presenza fino al livello produttivo e si limitano a funzioni di tipo commerciale. Esse comprano il caffè dai grandi esportatori per rivenderlo ai torrefattori delle varie parti dei mondo o per impacchettarlo e rivenderlo coi loro marchio direttamente ai consumatori finali. Poiché le multinazionali sono molto potenti sono loro a stabilire il prezzo in base ai loro calcoli di guadagno. Quanto più lo fissano basso, tanto più grave diventa la situazione per i piccoli produttori. Naturalmente dal Sud dei mondo non importiamo solo prodotti agricoli e minerali. Compriamo anche prodotti industriali come scarpe, giocattoli, vestiti, televisori. Anche questi settori sono dominati dalle multinazionali che agiscono attraverso un sistema che sta nel mezzo fra il controllo della produzione e la funzione commerciale. Il sistema è quello dell'appalto. Prendiamo come esempio Nike. Nei suoi uffici si progettano i nuovi modelli, poi appena i prototipi sono pronti vengono cercate delle fabbriche in Indonesia, in Vietnam o in Cina disposte a produrre i modelli progettati nella quantità desiderata. In questo modo Nike ha la possibilità di cercare sempre la soluzione che le consente di avere le scarpe al prezzo più basso possibile. A Nike, naturalmente, importa poco se ciò avviene alle spalle dei lavoratori che riscuotono salari da fame, che lavorano in ambienti insalubri, che sono perfino insultati e malmenati.
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