La scomparsa delle foreste e della fauna

Cinquant'anni. È il tempo che mancherebbe alla "sesta estinzione di massa" della storia. Dal 15 al 37 per cento di specie animali e vegetali potrebbero scomparire a causa dello stato di salute della Terra, mai così critico da 65 milioni di anni a questa parte, ovvero dalla scomparsa dei dinosauri. La perdita di biodiversità iniziata più di un secolo fa, infatti, ha accelerato la sua corsa fino a raggiungere un ritmo 1000 volte superiore a quello naturale. Un disastro mai visto prima se si pensa che a causare le crisi precedenti ci sono voluti svariati milioni di anni e delle catastrofi naturali. Nel lanciare l'allarme, un migliaio di scienziati, ecologisti e rappresentanti di circa 30 paesi, riuniti dal 24 al 28 gennaio presso la sede Unesco di Parigi per la Conferenza Internazionale "Biodiversità: scienza e governo", puntano il dito contro l'inquinamento e la frammentazione dell'ecosistema causati dagli esseri umani.

La scomparsa delle foreste, lo sfruttamento degli oceani, le culture intensive, il surriscaldamento del pianeta sono alcune delle questioni sulle quali il meeting vuole richiamare l'attenzione dei governi, dei cittadini e del settore privato. A 13 anni dalla Convenzione sulla diversità biologica di Rio de Janeiro, ratificata da più di 170 paesi, resta ancora molto da fare. Perciò il presidente francese Jacques Chirac, promotore della conferenza, ha invitato "la comunità internazionale a creare un gruppo di studio sull'evoluzione e la biodiversità per permettere agli scienziati di conoscere meglio il fenomeno, perché la distruzione del patrimonio naturale, frutto di milioni di anni di evoluzione, è una grossa perdita e una minaccia per l'umanità".

Secondo le stime dell'Unione Internazionale per la conservazione della natura (Iucn) sarebbero più di 7 mila le specie animali e circa 60 mila quelle vegetali a rischio estinzione. Nella lista rossa, le specie animali sono cresciute dalle oltre 5 mila del 1996 alle quasi 7.300 del 2004. E tra queste sono compresi il 25 per cento dei mammiferi conosciuti e l'11 per cento degli uccelli. Delle 350 mila specie vegetali conosciute, invece, sono 60 mila quelle che rischiano di estinguersi. Nei passati 500 anni, le attività umane sono state responsabili dell'estinzione di 844 specie: dal dodo al tricheco di Steller, dalla zebra quagga al pinguino imperiale e al piccione migratore americano, per fare degli esempi. E ora mette a rischio l'esistenza della lontra europea (lutra lutra), della cicogna bianca, presente soprattutto in Alsazia, della farfalla Salamis Augustina, dell cavalluccio marino, e persino dell'orso polare e dello squalo bianco.

La perdita degli habitat naturali gioca un ruolo chiave: minaccia infatti l'86 per cento degli uccelli e l'88 per cento degli anfibi. Secondo la Food and Agricultural Organization (Fao) ogni anno dal 1990 c'è stata una perdita di 14 milioni di ettari di foresta per un totale di 4 miliardi. La maggior parte di questa cifra riguarda foreste tropicali, rifugio di più del 50 per cento dei vertebrati conosciuti, del 60 per cento delle specie vegetali e del 90 per cento del numero totale di specie presenti sul pianeta. "Se non fermeremo questa distruzione illegale operata dalle industrie del legno sarà inutile avviare costosi programmi per la protezione delle specie", commenta Sergio Baffoni, responsabile della campagna foreste di Greenpeace. "Proprio l'Italia è in testa nelle classifiche di esportazione dei mobili e circa l'80 per cento del legname che usa è di importazione".

Se passiamo alla biodiversità agricola, delle 50 mila specie mammifere e vegetali note solo 30 vengono riprodotte su larga scala e 15 rappresentano più del 90 per cento della produzione del mondo. In 15 anni, 300 delle 6 mila varietà inventariate dalla Fao sono scomparse e altre 1350 sono a rischio. Non va meglio per gli ecosistemi marini. Dal 1996 il numero di specie di tartarughe a rischio di estinzione è aumentato da dieci a 25 ed è salito da 28 a 47 il numero di quelle in pericolo. La perdita di biodiversità, comunque, non colpisce anche il terreno, dove la materia organica viene riciclata, con ripercussioni sul funzionamento dell'intero ecosistema.

Roberta Pizzolante
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