A lanciare l’allarme è State of The World nel 2004, l’annuale rapporto sullo stato di salute del mondo compilato dal gruppo ambientalista Worldwatch Institute, che per la prima volta in 28 anni è interamente dedicato alla “società consumista: fonte dei mali che affliggono tutti, ricchi e poveri”.
Un quarto dell’umanità (1,7 miliardi d’individui) oggi appartiene alla cosiddetta “classe dei consumisti globali”. Oltre a possedere tv, telefono e computer, questi individui - sempre più numerosi in Cina e India - hanno adottato stili di vita un tempo esclusivi di Europa, Usa e Giappone. Nel contempo, però, 2,8 miliardi di persone sopravvivono con meno di 2 dollari al giorno e oltre un miliardo non ha accesso all’acqua potabile. Il divario tra ricchi e poveri non è mai stato tanto profondo. “Il 12% della popolazione mondiale che vive in Nord America ed Europa occidentale monopolizza il 60% dei consumi privati totali - sottolinea il rapporto - mentre al 33% degli abitanti del Pianeta, residenti in Asia ed Africa, resta solo il 3,2%”. E così l’italiano e l’americano “ricco” oggi consumano in media 25 volte più energia dell'africano "povero".
Nel 2000 individui e famiglie hanno speso 20 trilioni di dollari in servizi e beni privati: il quadruplo rispetto al 1960. “Ma la ricchezza e il consumismo non sono affatto proporzionali alla felicità”, mette in guardia il rapporto che indica in 13 mila dollari la soglia oltre la quale la felicità non cresce più anche se la ricchezza aumenta. La maggior parte dei beni prodotti sono “superflui” e “distruggono il pianeta”.
Basti pensare che nel Paese più consumistico di tutti, gli Usa - che rappresentano il 4,5 della popolazione mondiale, ma anche il 25% delle emissioni di biossido di carbonio - ci sono più automobili che individui con la patente (un quarto di tutte le automobili del pianeta sono negli States). Ma i record americani sono anche altri: 30 miliardi di dollari spesi ogni anno in giocattoli (69, in media, per ogni bambino); 48 nuovi capi a testa di vestiario, 478 milioni di T-shirts, 23 milioni di nuovi computer e 40mila chili di caviale (oltre il 40% del totale) acquistati negli ultimi 12 mesi mentre 100 miliardi di sacchetti di plastica venivano buttati via. Il primato più controverso riguarda forse i 30 miliardi di litri d’acqua usata ogni giorno in Usa per irrigare i prati.
La ricetta c’è ed è già stata adottata da Paesi come il Giappone e la Norvegia, dove secondo il rapporto, il tenore di vita “è tra i più alti del Pianeta, nonostante la politica verde dei rispettivi governi”. Tra le “opzioni creative” proposte: una “tassa ecologica” che penalizzi i prodotti che danneggiano l’ambiente; l’obbligo alle compagnie di riprendersi, per riciclarli, gli articoli dismessi (che dovranno essere più duraturi e facili da riparare), eliminando discariche e incinerazione.